POI SCOPPIÒ IL FINIMONDO

1.
Il sole era alto nel cielo e, probabilmente, se avesse potuto si sarebbe alzato sulla punta dei piedi. Un caldo di ferro batteva sulla terra, spalmandosi sui campi verdi, gialli e rossi.
Un leggero vento rovente faceva muovere a ritmo tutto il paesaggio: solo qualche fattoria resisteva immobile, in attesa di un temporale improvviso che però tardava a comparire all’orizzonte.

2.
Shane non vedeva l’ora di mandar giù per la gola una sorsata d’acqua: da quasi tre ore oramai, faceva avanti e indietro col suo trattore, tagliando le spighe cariche che, silenziose, si accasciavano rigide al suolo.
All’ennesima goccia di sudore che gli annebbiò la vista facendogli bruciare l’occhio, Shane spense il motore e decise di fermarsi. Sceso dal veicolo, sentiva le gambe che continuavano a ballare al ritmo frenetico dei pistoni bollenti del trattore. Traballante, si avviò allora a piedi, con passi lenti, verso una piccola baracca che sapeva trovarsi a un miglio di distanza, oltre un piccolo manipolo di alberi, al confine del suo terreno.
Lì avrebbe trovato ombra, acqua e un posto dove sdraiarsi.

3.
Shane era un uomo che non stava troppo a pensare e questo lo faceva stare bene. Lui preferiva guardare. Passava le ore a scrutare il trattore riposare dopo una giornata di lavoro, a osservare il suo campo quando la pioggia lo abbeverava, e a fissare sua moglie che, sotto il cielo stellato estivo, piegava placida le sue camicie da lavoro logore.
Il resto poteva pure andare al diavolo.
Pensare troppo non faceva proprio per lui, e non gli interessava se, a volte, poteva passare per stupido. Sua moglie spesso, quando lo vedeva fissare silenzioso qualcosa, lo prendeva in giro. Ma lei, che di nome faceva Ariel, non faceva conto.
— Ehi Shane, cosa guardi? — gli chiedeva con il sorriso negli occhi, mentre in realtà sapeva benissimo cosa l’uomo stesse squadrando.
— Guardo i prati — le rispondeva il marito pacifico.
— E ora Shane? Cosa guardi? —
— Guardo il cielo. —
Ariel, giocando con lo spigolo del tavolo, continuava.
— Ehi Shane? E adesso cosa guardi? —
— Guardo l’albero in fondo alla strada.—
— E ora? —
— I grilli sulla staccionata. —
— Ehi Shane? Adesso, mica stai fissando ancora i grilli? —
— Ora guardo te. —
Solo a questo punto, la donna fermava l’interrogatorio e scoppiava a ridere, buttando indietro la testa e tirando addosso al suo uomo qualsiasi cosa avesse tra le mani.
— Dai Shane, non fare lo stupido! Smettila di guardarmi, altrimenti mi consumi. —
Shane non capiva come potesse consumarla con gli occhi, ma era contento di vederla ridere: forse era stupido a comportarsi così, ma finché la faceva ridere, a lui stava bene.

4.
Quando arrivò alla baracca, Shane trovò la porta socchiusa, ma era questa era una cosa normale: quella porta non aveva nulla da difendere o nascondere.
All’interno del magazzino si potevano trovare solo ombra, un secchio d’acqua e qualche attrezzo di poco valore. Ciò che lo incuriosì, fu sentire che qualcuno si stava muovendo al suo interno: poteva essere un altro lavoratore come lui, pensò, oppure qualche animale alla ricerca di frescura.
Mentre tirava la porta verso di sé per tenere fuori la luce del sole, sperò ardentemente che il secchio dell’acqua contenesse ancora dell’acqua. Se così non fosse stato, avrebbe dovuto recarsi al torrente, che si trovava ad un quarto d’ora dalla baracca: una fatica che a stento avrebbe voluto e potuto fare.
Un’ondata di umidità lo investì quando fece il primo passo nella costruzione.  Si dovette sforzare qualche secondo per abituarsi alla luce sfuocata dell’interno: poi intravide un gatto attraversare veloce la stanza e infilarsi sotto un mucchio di fieno ammassato in un angolo. Su un tavolaccio posto al centro trovò il secchio carico d’acqua e sospirò felice.
Quello che, però, lo fece arrestare stranito, fu l’accorgersi che, in un angolo sulla sinistra, lo fissava, con due occhi pallidi, sua moglie.

5.
Ariel era una donna strana, misteriosa. Forse, proprio questi aspetti la rendevano così preziosa ai suoi occhi e avevano esercitato un fascino su Shane.
Shane l’aveva incontrata sotto un temporale estivo, riparata sotto un grande albero lungo la strada verso la città. I due avevano scambiato qualche battuta per farsi compagnia. Non fu certo un grande dialogo, ma Shane si innamorò di quello sguardo che nascondeva qualcosa.
Da quel giorno cominciarono a vedersi, sempre nei pressi di quell’albero che vigilava su un campo di papaveri selvaggio.
Quel prato costellato da una miriade di puntini rossi era ciò che più descriveva il carattere di Ariel: quando lo vedeva ondeggiare sferzato dal vento, gli sembrava di capire in qualche modo cosa stesse dietro il suo sorriso, i suoi capelli ribelli, il suo collo stupendo e le sue mani sempre pulite. Come quei papaveri sfuggivano alla sua vista, accarezzati dalle nuvole e dal sole, tra luce e ombra, così Ariel si muoveva nelle lunghe giornate che cominciarono a trascorrere insieme.
— Tu sei più bella del fischiettare di quel bambino che corre — le sussurrava spesso indicando uno dei tanti furfantelli che bighellonavano a zonzo nei terreni coltivati. —
— Ma Shane! Come puoi paragonarmi ad un fischiettare?! Non sei capace a farmi i complimenti! —
Shane non capiva cosa potesse esserci di più bello di quelle melodie irripetibili e segrete che guizzavano fresche tra i papaveri che li attorniavano.
Con il tempo, Shane cominciò ad abituarsi a quelle piccole incomprensioni: d’altronde gli bastava posare lo sguardo sul mare di papaveri, osservando in essi lo schiudersi del suo amore per Ariel.

6.
Ora la donna era rannicchiata con le pupille incollate sul marito.
Ariel con un gesto che lui conosceva benissimo, si spostò rapida i capelli che le coprivano l’occhio destro.
— Quel gesto lo conosco benissimo: lo conosco come le spighe che ora giacciono, falciate dalla mia mietitrebbia — rifletté Shane.
— Lo conosco come la cinghia che fa girare il mio trattore e che ora ho lasciato sotto il sole nel campo, ad un miglio da qui — continuò a pensare l’uomo.
Nel frattempo, un’ombra estranea si mosse sul fondo del magazzino, dalla parte opposta a dove si trovava Ariel.
La voce dei grilli si faceva assordante, così come fu quella di Ariel che, di colpo, cominciò a parlare.

7.
— Ciao Shane, cosa hai da guardare? —
Shane si oscurò in viso: quella volta non la stava guardando, ma fece finta di nulla. Con la coda dell’occhio continuava a controllare l’ombra sconosciuta che aveva visto spostarsi.
— Tu lo sai, bimba mia, perché i grilli gridano così tanto? —
La domanda gli uscì così, senza che Shane ci avesse pensato troppo, come era suo solito.
Dopo queste parole, che forse non avevano nessun senso, la moglie cominciò a piangere e si accasciò per terra, sul pavimento di legno nudo.
Poi scoppiò il finimondo.

8.
Shane spostò violentemente lo sguardo in un angolo buio della stanza. Un’ombra si scaraventò nella luce e, con due balzi, raggiunse la porta che cedette sotto il suo peso. Shane vide chiaramente la forma di un uomo con la camicia aperta e i muscoli giovane lanciarsi fuori dal magazzino. Con una certa macchinosità, Shane partì all’inseguimento.
I due uomini si trovarono così a correre disperati in mezzo ai campi non ancora tagliati.
Il grano sferzava le loro gambe; i loro piedi calpestavano, scomposti e confusi, le spighe ricurve.
Shane si accorse subito che il suo era un inseguimento inutile: lo sconosciuto era più giovane di lui e in poco tempo scomparve dietro un avvallamento del paesaggio. Proprio quella terra che lui conosceva benissimo e su cui camminava da quando era nato, avendola imparato ad amare e curare, ora lo frenava e lo inciampava. L’orizzonte oramai era desolato. Shane si lasciò cadere fragorosamente, sommerso da una vampata di papaveri. Respirava affannato: l’afa lo coprì con un abbraccio sudicio. Allora chiuse gli occhi, come ad immaginarsi cosa avrebbe potuto fare se fosse riuscito a raggiungere il fuggitivo.
— Nulla — disse affranto tra sé e sé.
— Non riuscirei a fare nulla: io non sono un violento. Non sarei in grado neanche di sferrare uno schiaffo. —
Ora nella testa il sangue pulsava come uno stantuffo: a breve le tempie sarebbero potute esplodere. Rimase in quello stato di vertigine per alcuni lunghissimi minuti.
Poi sentì dei passi che gli si avvicinavano e li riconobbe immediatamente.
Era Ariel.

9.
Lentamente si alzò sui gomiti.
La vide arrivare in una cornice di riflessi rossi: i papaveri, come la schiuma bianca del mare, la sospingevano verso di lui, traballante.
Shane non aveva mai visto il mare ma, da come glielo avevano descritto, doveva proprio fare quel movimento che vedeva ora fare i petali e la gonna della sua donna. Non si capacitava che, proprio ora, gli venisse in mente quell’immagine, per lui così innaturale. Poi si ricordò che spesso Ariel gli aveva chiedo di portarla a vedere l’Atlantico.
Ariel si fermò qualche metro da suo marito, anche lei appesantita dalle frustate del sole. Il suo volto era costellato di lentiggini, mentre i suoi occhi gridavano ancora lacrime.
Shane alzò lo sguardo fino ad incrociare quello della moglie: con stupore, si accorse che la donna assomigliava incredibilmente ad una bambina. Lei fece ancora due o tre passi e si stese vicino all’uomo.
Il grano e i papaveri la fecero sparire, quasi fosse stata di colpo risucchiata nella terra. Infine, la sua voce riemerse.
— Guardami Shane. Ti prego, guardami! —
Shane si meravigliò della richiesta, dal momento che la stava già guardando.
La cosa che però lo fece sobbalzare, fu che, per la prima volta, si accorse che stava aspettando qualcosa da lei.
Shane si tirò su fino a sedersi: nella sua testa frullavano mille pensieri su cosa attendesse da sua moglie.
— Non mi aspetto delle scuse e neanche chissà quale dichiarazione d’amore — pensava.
— No… è qualcos’altro. —
Ariel continuava a stare raccolta vicino a lui, muta.
Shane si abbracciò le ginocchia e, contemporaneamente, scrutò il campo intorno, come a cercare tra il verde, il rosso e il giallo un accenno che sciogliesse la sua attesa. Un grillo saltò sulla sua spalla, quasi a sussurrargli all’orecchio.
Shane si concentrò, ma non sentì nessun bisbiglio. Poi, senza chiedere il permesso a nessuno, con un balzo, il grillo sparì tra i papaveri. In quell’istante, gli sembrò di capire: in quel pomeriggio disperato, davanti a lui non c’era il nulla, non c’era il vuoto. Certo, era stato semi-nato da un bastardo in fuga ed era stato tradito spudoratamente da colei che amava: eppure… Qui il suo pensare arrancò.
Un fiato d’aria scompiglio la natura e stropicciò i capelli di Ariel.
— Sei la dona della mia vita — disse a voce alta.
La sua voce squarciò il cielo, mettendo a tacere il frastuono del frinire incessante.
E mentre Shane si tendeva verso Ariel, tutti i papaveri intorno vibrarono splendidi nelle sue vene.

Un pensiero su “POI SCOPPIÒ IL FINIMONDO

  1. Bellissimo! Dal fondo della normalità più normale, della banalità più opaca, dell’insofferenza al vivere, viene fuori un insospettabile, sottile, improvviso, full of hope cambio di rotta che si trascina dietro tutto. 10+!

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