I TESTI SONO ACQUISTABILI SU AMAZON: RACCONTI TROPPO BREVI E ANZI NO e NON STATE MICA LITIGANDO: AUTORE GABRIELE ROCCHIETTA
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IL CHIARIMENTO
Senza dubbi, siamo tutti diversi. Tutti, nel senso che ogni essere umano ha le sue peculiarità. E la diversità si vede spesso nelle piccole cose: c’è chi si diverte ad andare allo stadio, c’è che chi passa ore a giocare ai videogiochi e c’è chi legge appena ha un attimo libero. Ma c’è anche chi, come gli anziani, stanno giornate intere a guardare i cantieri o chi, come le donne, non vede il momento di sedersi sulla poltrona della parrucchiera a parlare, parlare… Questi forse sono luoghi comuni, che però, come tutti i luoghi comuni, qualcosa di vero lo insegnano. Infine ci sono i fuoriclasse. I fuoriclasse sono quei personaggi imprevedibili, che li trovi dove non ti aspetteresti mai di trovarli. Anthony era uno di questi. Non ti sarebbe mai venuto in mente di trovarlo lì e, se lo avessi trovato, non ti sarebbe mai venuto mente che lì, proprio lì, ci fosse andato volontariamente a passare il tempo. Di lavoro faceva il controllore sui tram e il tempo libero lo passava seduto comodo comodo su un carrello della spesa, in quei mega parcheggi dei supermercati, e si divertiva un mondo a osservare le automobili parcheggiare. Gli piaceva l’andare e venire, più o meno frenetico, più o meno regolare, di quell’infinità di auto che, sospirando, come a strattoni o guardandosi invidiose, si affiancavano l’una all’altra, apparentemente senza nessuna logica, se non quella di mettersi in ordine. E lui se la spassava. Il momento che preferiva era quando l’immenso piazzale era quasi totalmente vuoto. Allora, con occhio rapace, provava a indovinare in quale rettangolo bianco si sarebbe collocato il cliente che, titubante o arrembante, si immetteva in quella ragnatela di vernice che si spalancava davanti a lui. Col tempo si era costruito diverse teorie. I Suv preferivano gli spazi centrali e non badavano alla scomodità data dalla lontananza dell’entrata del supermercato. Le utilitarie erano imprevedibili: ma su una cosa Anthony era certo, e cioè che anche a fronte di tanta scelta, ci mettevano tantissimo a parcheggiare. Le utilitarie sembravano indecise, e spesso perdevano un mucchio di tempo a piazzarsi e fermarsi, nonostante l’imbarazzo della scelta: ecco, forse si imbarazzavano. Le moto sfruttavano tutto lo spazio a loro disposizione e compivano ampi giri di perlustrazione per poi finire tutte, mediamente, nello stesso posto, quello più vicino all’entrata. I furgoncini entravano sicuri: in due mosse, si piazzavano ai lati, come a voler lasciar spazio agli altri e a non creare problemi: Anthony li riteneva altruisti. Ma quando nel parcheggio deserto entrava una macchina di lusso, era proprio in quel momento che Anthony si divertiva. L’auto di lusso era come se sentisse che aveva un posto suo. Sembra una cosa difficile a credersi, ma secondo Anthony era così. Se per esempio una Jaguar mostrava il muso oltre la scritta INGRESSO, misteriosamente un riquadro bianco si illuminava e la chiamava lì, proprio lì, anche se magari avrebbe potuto collocarsi in centinaia di altri posti. E si vedeva da come incedeva, lentamente ed elegantemente, che la Jaguar non aveva dubbi su dove si sarebbe fermata. Poteva essere anche un posto schifoso, in pieno sole, con una macchia d’olio gigante a sporcarne l’asfalto. Alla Jaguar sembrava non importare: quello era il posto che una divinità misteriosa le aveva assegnato dalla notte dei tempi. Anthony impazziva in questi momenti, perché tutto sembrava quadrare, tutto sembrava avere un ordine. — Che mondo stupendo è il parcheggio di un supermercato! — sospirava l’uomo, mentre si sfregava le mani dalla contentezza e batteva i piedi contro la ferraglia dei carrelli. Sfido io a trovare un altro posto più imprevedibile, e allo stesso tempo prevedibile, di un super mega parcheggio, dall’asfalto fumante e striato. In realtà, nessuno sembrava aver mai accettato quella sfida, perché per una buona decina di anni Anthony si era sempre trovato da solo a osservare quello spettacolo, ai suoi occhi tanto straordinario. Un giorno però si accorse che tutto sarebbe potuto cambiare, irrimediabilmente. Quel giorno, infatti, successe che qualcuno parcheggiò una macchina, quasi al centro del deserto di asfalto, e non venne più a riprenderla. Successivamente venne aperto un cantiere sul lato destro dell’entrata del deserto d’asfalto. Infine, per una settimana, una sottile nebbia imperversò sul luogo dove Anthony passava le sue ore di svago. Anthony non era pronto a questi cambiamenti e cominciò ad innervosirsi. Se fino a quel momento il parcheggio era stato per lui il posto dove trovava calma e pace, ora era diventato un caos, un’agitazione. Innanzitutto la macchina abbandonata divenne un motivo di scandalo. — Come si permette di occupare abusivamente il posto che potrebbe essere di qualcun altro? Questa è vera maleducazione! Dove andremo a finire d questo passo? — rimuginava, masticando amaro, Anthony. In secondo luogo, il cantiere. — Ma perché nessuno mi ha avvisato? Qui bisogna organizzarsi! I posti sono diminuiti in modo clamoroso. Per chissà quanto tempo, le automobili, entrando, si troveranno disorientate! È necessario rilasciare un comunicato, un avviso pubblico: insomma, non si può improvvisare una cosa così, in un parcheggio! — Ma le sue parole rimasero al vento. Gli operai cominciarono a lavorare, senza preoccuparsi più di tanto del disagio per i clienti del supermercato. Infine la nebbia. — Ci mancava pure la nebbia! E io cosa guardo ora? — brontolava l’uomo scalciando dal suo carrello. Ciò che vedeva, infatti, erano solo fasci di luce improvvisi che esitavano a destra e a sinistra, muovendosi a scatti, come bambini sperduti in una spiaggia affollata: bambini appena usciti dal mare, con la vista ancora appannata dal sale e dal sole, incapaci a riconoscere i piedi familiari della propria mamma. —Uffa, che casino! — fu la conclusione triste di Anthony. Ma Anthony non era tipo da rimanere con le mani in mano e allora agì, e agì nella maniera più sconclusionata. Andò in Comune, un luogo poco trasparente e ancor meno areato, così lo definì Anthony; compilò una marea di fogli e, così come era entrato, se ne uscì con un modulo firmato e controfirmato dal sindaco. Aveva comprato il parcheggio. La notizia finì sul giornale, o meglio, la fece finire sul giornale locale il proprietario del supermercato, il signor Flûte, che si sentiva rapinato, quasi si trattasse del suo giardinetto privato. In breve tempo scoprì tutto, vita morte e miracoli di Anthony e cominciò a odiarlo dal profondo del suo cuore. — Ma come ha fatto quel cretino e mezzo barbone a comprarmi il parcheggio? — urlava a perdifiato nel suo ufficio. — I miei avvocati! Dove sono i miei avvocati?! — Nella sua stanza al secondo piano del supermercato, il signor Flûte era un leone in gabbia. Digrignava i denti, mentre vedeva le auto fare la fila per entrare nel parcheggio, che non era più il suo parcheggio. Notò subito che i lavori, che aveva fatto cominciare, erano fermi e gli operai avevano iniziato a smantellare le attrezzature. — Dio mio, quei lavori sono da fare! Ci sono delle tubature che perdono, bisogna ripararle! E poi l’asfalto è rovinato, diavolo! È necessario riasfaltare la zona! — Il signor Flûte diede un pugno contro la finestra, che stridette sotto il colpo. Anthony, come di routine, entrò nel parcheggio verso le cinque di pomeriggio. Ora quel regno era suo e la nebbiolina, come intimorita dal nuovo ruolo che ora rivestiva, cominciava a diradarsi. Con una spranga d’acciaio tra le mani, si avvicinò alla macchina abbandonata e diede inizio al massacro. La colpì più volte fino a modificargli i connotati da Citroen C3. I vetri saltarono come cavallette in un prato di montagna; i fanali si trasformarono in uova strapazzate; la carrozzeria subì una grandinata di colpi tale da ridurla ad una forma di groviera. Sudato, Anthony, appoggiò la spranga ad un fianco dell’automobile e sospirò soddisfatto. Di lì a poco sarebbe arrivato un carro attrezzi a portarsela via e a buttarla in chissà quale cimitero di macchine. — Mi dispiace, fu il suo epitaffio. — Adesso stava tutto tornando alla normalità. O quasi. Da qualche giorno infatti gli rimanevano incollati addosso due occhi infuocati che, dal secondo piano del supermercato davanti a lui, lo trapassavano ad ogni passo. Quella sera, Anthony si sentiva felice e salutò quello sguardo, con un sorriso al limite dello sfacciato. In risposta, ottenne uno sbraitare muto, che raggiunse l’apice con un colpo secco di serranda abbassate: il colpo delle veneziane che serravano quell’occhio sul parcheggio, non fu tuttavia senza conseguenze nell’animo di Anthony. Il signor Flûte, mentre assisteva inerme allo sciacallaggio di Anthony contro la Citroen, ebbe modo di pensare un attimo. — Ok! Ho a che fare con un matto. Quello deve essere il folle che si è comprato il parcheggio. È troppo sicuro di sé per essere un teppista qualunque. Dunque: con i matti bisogna agire da persone normali, così non ti abbassi al loro livello. Va bene. devo fare qualcosa, o qui mi scappa tutto di mano. — Con un colpo violento chiuse le persiane. A questo punto, il signor Flûte si diede una calmata: bevve un bicchiere di Porto, si aggiustò il nodo la cravatta, si mise la giacca e decise di scendere a dare battaglia. Anthony vide spuntare il proprietario del supermercato alle sei in punto della sera. Aveva un passo un po’ ciondolante, ma deciso. Quando lo raggiunse, stava ancora maneggiando la spranga d’acciaio tra le mani. Tutta la situazione aveva l’aria di qualcosa di poco di buono, ma in realtà era solo un’impressione. Anthony squadrò l’uomo che aveva davanti; lo stesso fece il signor Flûte. Entrambi sapevano chi erano, ma iniziarono uno stupendo gioco delle parti. — Buongiorno — cominciò il signor Flûte, aprendo le danze di un dialogo assurdo. Gli avrebbe messo le mani addosso all’istante, ma tutto ciò che produsse fu questo “Buongiorno”, pronunciato a metà tra una sentenza di morte e una preghiera supplichevole. Anthony rispose con un colpo di tosse. Il padrone del supermercato riprese. — Senta, le piace molto questo parcheggio, vero? — — Più di quello che lei possa immaginarsi — fu la risposta d’Anthony, che si mischiò coll’accensione di un’automobile vicino a loro. — Bene…, non è che ne possiamo parlarne un attimo, visto che anche io ci sono legato, lavorativamente parlando? — — No. Penso che sia inutile, dal momento che non lo tratta come si converrebbe — e, con un gesto lapidario, indicò il cantiere aperto. — Ma…, vede, signore di cui non conosco l’identità: quello che lei ha scambiato, forse per noncuranza, sono dei lavori di manutenzione affinché le perdite sotterranee non allaghino tutta l’area. Le parole del signor Flûte erano affabili, come il bagliore dell’alba invernale. La sua rabbia carsica lo stava rodendo all’interno, ma nulla traspariva all’esterno. Anthony se ne fregò di tutta questa cura. — Tutte balle. A me non piacciono e creano disturbo. — — Dio mio, signor non so chi! Non può fare tutto questo casino per qualche giorno di disagio! — La voce, ora, si era fatta acuta e di gola. — Non alzi la voce signor capo del supermercato. Io sto facendo il bene del sacro suolo del parcheggio e del fluire sano e felice delle automobili che vengono qui parcheggiate. — —Ma anche io! — — Non credo proprio. Come la mettiamo, poi, con la macchina abbandonata per giorni, solitaria e invadente, al centro del piazzale? E della nebbia che è calata in questi giorni? Non se n’è per nulla preoccupato, mi sembra. — Il signor Flûte si mise le mani nei capelli. — Quella macchina non era abbandonata… era il regalo per mia figlia: la tenevo qui da qualche giorno per farle una sorpresa domenica. — Anthony si fece serio di colpo. Aggrottò le ciglia e si passo una mano sul mento. — Urka! Poteva avvisarmi — rispose l’uomo, con il tono di chi sta chiedendo l’ora ad un passante distratto. — Avvisarla!? Ma se non sapevo neanche della sua esistenza, fino a qualche giorno fa! A dirla tutta, la credevo un perdigiorno qualsiasi, abbastanza innocuo tra l’altro. E invece? Nel giro di un batter d’occhio, si impossessa di una mia proprietà, me ne sfascia un’altra di proprietà, mi ferma la ditta che ho pagato in anticipo per dei lavori necessari e, ora, mi accusa di non aver il comando sulla fluttuazione della nebbia? Ma chi crede che io sia? Io sono semplicemente un ragioniere, un misero ragioniere, un povero Cristo di ragioniere, e niente più! Cosa vuole da me?! — Una signora, con un carrello pieno di scatolette di mangime per gatti, salutò silenziosamente il signor Flûte, che ricambiò, troppo bruscamente. Anthony posò la spranga per terra e si passò le mani sui pantaloni, come per cacciare i venti di rabbia. — Sì, forse sulla questione della nebbia, ho fatto troppo affidamento sulle sue capacità. D’altronde un ragioniere… Sta di fatto, tuttavia, che io faccio il controllore sui tram e, in caso di nebbia, abbiamo i nostri protocolli belli chiari. Mi stupisce, dunque, la sua improvvisazione e impreparazione a riguardo. — Il ragioniere, tra il disperato e l’incredulo, si appoggiò al cofano di ciò che rimaneva della sua Citroen. — Per l’automobile, beh, mi è scappata la mano, lo ammetto; insisto, però, che la sua è stata una mossa avventata. Il silenzio calò, come la nebbia che ora si faceva più fitta. I lampioni a stento perforavano la sua coltre e i due uomini si mischiavano al grigio luce che si spandeva intorno. Il signor Flûte si trovava in un vicolo cieco, pieno di foschia e con un mezzo pazzo come interlocutore che, con le sue parole, infittiva una situazione molto oscura. Per questo, inevitabilmente, sbottò in un impeto di rabbia vulcanica. — Ma santo Dio! Di cosa sta parlando? Lei deve farsi curare seriamente! Si tenga pure il parcheggio, ma sappia che se la rivedo io la riduco a mangime per pesci rossi! Ma non ha un diavolo di hobby, come tutti i comuni mortali?! Proprio qui doveva venire a rompere le scatole? — — Certo! —rispose con franchezza Anthony. — Questo è il mio hobby: godere del via vai di questo parcheggio. Vedo che cominciamo ad intenderci. Qual è, invece, il suo di passatempo? — Il signor Flûte stava sprofondando nella tana del Bianconiglio: non vedeva uscite, ma solo porte che si aprivano su mondi assurdi, con personaggi come quello che gli stava davanti ora. — Sì, ce l’ho anch’io un passatempo: il tiro al piattello! Per cui stia attento… — Anthony scoppiò in una risata che interruppe il suo interlocutore. — Il tiro al piattello!? E questo lo ritiene un hobby più nobile del mio? — Ora il signor Flûte vedeva l’uomo che aveva davanti come un gigantesco piattello, a cui sparare il più perfetto dei suoi colpi. Il padrone del supermercato era sfiancato da questo dialogo. Anthony lo notò e se ne preoccupò. — Senta, signor capo del supermercato, io sono disposto a ridarle il parcheggio al più presto. — Il signor Flûte ebbe un moto scomposto, che dominò a stento. — Ah! Bene! Ma scommetto che ci saranno delle condizioni onerose! — Anthony fece una smorfia, come fosse offeso. — Ma quali condizioni onerose? Per chi mi ha preso? Mica sono un trafficante di parcheggi, io. A me basta che ci siamo chiariti. — Il signor Flûte meditò rapidissimo sul significato di quel “Ci siamo chiariti”. Lui non vedeva nessun chiarimento. Detto questo, se per l’altro c’era stato un chiarimento, non sarebbe stato certo lui a negarlo. Dunque, finse una certezza che in realtà non aveva. — Ma diamine, certo! Ora che ci siamo chiariti, per me sarebbe un onore tornare a gestire il parcheggio, senza impedirle il suo hobby ovviamente! — Anthony sorrise. Il signor Flûte sorrise di riflesso, senza capire perché stesse sorridendo. Anthony assunse una posa da oratore. — Dunque dal momento che ci siamo chiariti, spero che…— e qui Anthonysi fermò, come per non svelare ciò che doveva essere chiaro. Il signor Flûte divenne rosso per l’imbarazzo e abbozzò un sì con la testa. Anthony buttò la spranga di ferro dentro la Citroen agonizzante, si pulì nuovamente le mani sui pantaloni, fece un gesto di saluto e si incamminò verso l’uscita del parcheggio. Il padrone del supermercato rimase senza parole. Girò su sé stesso e osservò l’uomo mentre si allontanava. D’improvviso ebbe uno scatto. — Mi scusi signore! Ma per i soldi come facciamo? — La sua voce era quasi una supplica. Anthony fece un gesto nell’aria. Il signor Flûte non ne capì a fondo il significato. — Questo è proprio matto!— bofonchiò. Poi riprese fiato. — Mi scusi ancora signore! Ma che cos’è che dovevamo chiarire? — Anche questa volta Anthony gesticolò vago, ma una cosa il signor Flûte la sentì. — Voglia un po’ di bene a questo parcheggio! Lo tratti bene: faccia come fosse suo figlio! — La nebbia oramai era sparita del tutto, come per magia e il padrone del supermercato, con uno sguardo profondo, racchiuse in sé tutto il parcheggio. — Ma questo è solo un parcheggio!— pensò, guardando ciò che credeva di avere perduto e che invece gli era stato ridonato. I lampioni, ora, brillavano fieri; le macchine continuavano a fluire come la schiuma nelle rapide di un torrente; i posti segnati sull’asfalto costruivano reticoli, su cui la luce si rifrangeva allegra; alcuni panettoni di cemento, posti a delimitare lo spazio, davano un’idea più famigliare al tutto, quasi fossero piccole poltrone di un salotto stradale; la ringhiera, che delimitava i bordi dell’area, svettava signorile ed elegante. Il signor Flûte per un attimo vide questa vita nascosta, eppure così potente. E ne fu felice.