IL SECONDO COLPO

1.
L’accetta era uno strumento straordinario.

Stava appesa al muro, vicino ad una miriade di altri oggetti altrettanto affascinanti. Lei però era la sintesi di qualcosa di inspiegabile. Lunga poco più di un braccio adulto, con una lama spessa e scura e quel filo tagliente lucido con l’alba, era un grugno di potenza e velocità.
Matt passava interi minuti a contemplarla, mentre tra le mani faceva girare isterico uno scalpello, un regalo di suo padre. Quello scalpello era un girino rispetto a quell’attrezzo su cui le mani ambivano appoggiarsi e stringersi.
Ogni volta che la vedevano, i suoi muscoli si tendevano, i suoi bicipiti si gonfiavano, in un’attesa desiderosa.
I suoi occhi, quando la porta del magazzino era aperta, studiavano l’accetta e la sua forma. Matt però percepiva che il momento di impugnarla non era ancora ancora giunto, e si accontentava di stringere lo scalpello nel tentativo di fonderlo nel suo sangue ribollente giovanile.

2.
Il magazzino di suo padre si trovava sotto casa sua ed era meta di pellegrinaggi silenziosi da parte di tutti i ragazzi della zona.
Non capitava tutti i giorni di vedere un luogo dove tutto ciò che a malapena si riusciva ad immaginare fosse lì, esposto in bella mostra, ordinato e a portata di mano.
Un’armeria intera e pacifica di attrezzi capaci di tagliare, spezzare, segare, perforare, piegare, bloccare, schiodare era appesa alle pareti di uno stanzone qualsiasi; e potevi anche toccarli.
Questo era il massimo: potevi toccare! Nessun cartello “Stare alla larga”, nessuna minaccia del tipo “Ragazzino lascia stare”, “Ragazzino torna a giocare con le bambole, che è meglio”; o ancora peggio “Attento, che puoi farti male”, o peggio di tutto “Attento, che puoi fare male a qualcuno”.
Queste frasi, Matt non le sopportava proprio. Erano offensive verso la sua pungente e dignitosa vitalità.
Lui non era più un bambino, e allora perché lo dovevano trattare come un bambino!
Certo, la maggior parte del tempo lui la passava a giocare a pallone, ma questo non lo riduceva al rango di bambino. Anzi.
Sul prato verde, zeppo di buche e sassi sporgenti come scogli, era un drago. Era capace di tenere testa a ragazzi ben più grossi di lui e di correre per ore sotto il sole accecante.
— Provateci voi — pensava spesso guardando i passanti che si fermavano a commentare quegli scontri giovanili, quei calci sonori, quelle testata e quelle gomitate ben assestate, al momento giusto e al posto giusto.
Insomma, Matt era un guerriero nascente, colmo di certezze e soddisfazioni.
Però quell’accetta, appesa a due chiodi arrugginiti che solo Dio sapeva come fossero penetrati in quel muro del magazzino, evocava in lui una pulsione primordiale, corrosiva. Nel suo sistema solare lei era al centro e lui era un pianeta la cui orbita era desiderosa di schiantarsi contro a velocità della luce, o di più.
E così, nell’attesa, la sua anima galoppava a larghe falcate su campetti da pallone improvvisati, immaginando di spaccare ceppi di legni al posto di gambe sfuggenti e palloni volanti.
Proprio in uno di quei pomeriggi folli d’estate, Matt colse l’attimo.

3.
Fu questione di un istante. Matt fece una scivolata contro un ragazzetto che lo aveva sfidato facendogli un elastico in corsa, roba da evitare con gente del suo calibro.
Mentre Matt, toccato nell’orgoglio, si stendeva a terra e protendeva la gamba destra alla ricerca del pallone, il suo avversario saltò, tentando di evitare l’impatto. Il pallone sgusciò isterico sull’erba umida.
Il risultato fu un clamoroso capitombolo dell’attaccante, che formicolò parole incomprensibili all’indirizzo di Matt; il pallone colpito dallo spasmo, deviò miseramente finendo in un altrettanto innocuo fallo laterale: insomma, uno sforzo inaudito per un nulla di che, per uno dei tanti falli laterali. Il tutto fu condito da una mini rissa, che inzuppò la partita per qualche secondo.
Matt si alzò disgustato: piazzò due manate in faccia all’avversario e, mestamente, si pulì le ginocchia e la faccia. Poi, sempre malinconicamente, si allontanò dal campo, tra lo stupore generale.
Uscendo, si curò solo di affidare il pallone ad un mocciosetto, tutto maglietta e pantaloncino troppo lunghi, che abitava vicino a lui.

4.
Con passo lento e ciondolante si diresse al magazzino di suo padre. Sentiva che era un momento strano: forse era arrivato quel momento.
Entrò nello stanzone come si entra in una sacristia o in un reliquiario e si avvicinò al padre. L’uomo, che era sulla quarantina, stava spazzando via una ricciolata di trucioli.
— Ciao Matt. Hai vinto? — 
Questo era sempre l’incipit degli incontri pomeridiani.
— Ciao pa’. No, stavo perdendo, ma sono venuto via che giocavano ancora. — 
– Ti sei rotto una gamba? —
Questa era l’unica motivazione che il padre potessse accettare perché a Matt fosse lecito abbandonare il suo campo di battaglia.

— No — rispose il figlio grattandosi l’orecchio destro e cominciando a tamburellare annoiato sulla testa di una morsa granitica.
— Allora perché sei qua? — 
Il tono della voce del padre non era indagatorio, ma curioso.
Matt alzò lo sguardo: era un esploratore che stava avvistando una terra ancora ignota.
— Non so, ma forse mi è venuta voglia di provare quella. — 
Indicò l’accetta.
— Forse sì, annuì l’uomo, come se avesse capito tutto.
Un silenzio provocò l’aria del magazzino, un silenzio che neanche i passi strascicati del padre riuscirono a scheggiare.
L’oggetto venne staccato dal muro e finì nella mano del ragazzo.

5.
Matt sentì per la prima volta il peso dell’accetta: la lama si sbilanciava prepotente verso terra.
Il manico era di legno liscissimo e consumatissimo, simile alle mani degli anziani, così rugose da poter scivolare dentro quei crepacci di pelle dura e dolcissima allo stesso tempo.
Il padre osservava il figlio con la coda degli occhi.
— Beh, guarda che non è un oggetto da museo. Si deve guardare, toccare e usare, ovviamente. — 
Matt alzò la testa e sorrise: i suoi muscoli iniziavano a tirarsi.
— Vedi, questo è uno strumento, dunque se non lo usi lo snaturi, lo rendi inutile. Bisogna farlo lavorare insomma! — 
— Ovvio, rispose il ragazzo ipnotizzato dalla lama accesa da un filo di luce intromessosi tra loro. — 

6.
Il padre si allontanò. Ritornò con un ceppo di notevole dimensioni: lo faceva rotolare con un piede, finché lo pose in mezzo al magazzino.
Il ceppo era martoriato e sfregiato di colpi: ferite profonde segnavano la parte superiore.
Eppure, eroico, stava lì in attesa di un nuovo martirio.
Dopo, prese un pezzo di legno tondo, accatastato lungo la parete di fronte al bancone; il legno era era di media grandezza, pronto per essere spaccato e, con naturalezza, venne collocato sopra il ceppo.
Matt rimase impressionato dalla ritualità di questi pochi gesti: il tempo era fermo, rallentando gradualmente la sua ineluttabile corsa.
Di colpo si rese conto che ora toccava a lui agire.
— Pa’, ma io non so come si fa, non sono capace! — 
— Tranquillo, rispose il padre, lei sa lavorare, basta solo usarla bene, assecondarla con gentilezza. — 
Matt non era troppo convinto e sentiva le tempie pulsare; suo padre si accese una sigaretta e si appoggiò al bancone dietro di lui, accavallando la gamba destra e socchiudendo gli occhi mentre inspirava la prima boccata di fumo.
Poi appoggiò una mano sul tavolaccio e aspettò. La cenere cominciava a cadere per terra.

7.
Matt provò a prendere una posa plastica, atletica; spostò il piede destro avanti e sbuffò aria fremente.
Fece picchiettare la lama dell’accetta sul legno inerme per prendere una sorta di mira. L’impugnatura era all’estremità del manico.
Lentamente alzò l’arnese sopra la sua testa e per una frazione di secondo barcollò sotto il peso.
Infine spinse con tutta la forza che aveva in corpo, chiuse gli occhi, accelerò ancora finché la lama entrò nel legno.
Il rumore dilaniò i suoi timpani e l’impatto si ripercosse fino ai piedi: Matt perse l’equilibrio e la presa sull’accetta che gli sfuggì.
Riaprì gli occhi e lo spettacolo lo scoraggiò.

8.
La lama era penetrata nel pezzo fino a metà e ora l’accetta giaceva a terra scomposta.
— Ok, intervenne il padre, sulla postura si può lavorare, è solo questione di tecnica: quella si impara. Ora finiscilo.
Matt era imbambolato.
— Cacchio non ce l’ho fatta, riuscì solo a dire. — 
— Beh, questo non è un problema. Spaccare un pezzo come quello al primo colpo non è da tutti, soprattutto la prima volta che si armeggia con un’accetta. Io stesso talvolta non riesco a sconfiggere alcuni tronchetti con una sola mazzata. Il colpo unico implica un notevole dispendio di energia che, a lungo andare, ti sfianca i muscoli. L’accetta è un attrezzo e bisogna saperlo far lavorare bene, se no ti spacca lei. Ora però finisci. — 
— Va bene. — 

9.
Matt riprese l’arnese in mano: il peso ora era aumentato, essendo il pezzo di legno avvinghiato alla lama.
— Come diavolo stacco ‘sto bastardo? — penso tra sé.
Con un piede provò a tenere fermo il tronco, che non voleva proprio saperne di mollare la lama.
— Si difende l’infame — intervenne il padre — Mica è stupido il legno!
Il ragazzo provò a colpire il ceppo nuovamente, con il tronchetto aggrappato alla lama. L’esito fu disastroso.
La lama scivolò declinando sulla sinistra, cosa che frantumò il legno in più pezzi, la maggior parte schegge di varia misura.
— Che schifo di lavoro — piagnucolò il ragazzo che lasciò cadere tutto a terra.
Matt ora era decisamente demoralizzato.
L’uomo si avvicinò muto, spense la sigaretta in un posacenere di latta e si allontanò, tornando con un altro legno, un po’ più grosso di quello che aveva massacrato il figlio; spostò il disastro ligneo di Matt e prese l’accetta: guardò il figlio e poi fissò il nuovo legno sul ceppo.

10.
Il gesto risultò fulmineo.
Il primo colpo cadde sulla vittima con naturalezza, calamitato quasi solo dalla forza di gravità. La lama si incastrò nel legno. Poi, senza soluzione di continuità, l’uomo rialzò l’ascia con il tronco avviluppato alla sua sua estremità. Quando si trovò sopra la sua testa, il padre fece girare di 180 gradi l’accetta, che ricadde sul ceppo colpendolo con il retro della lama: fu lo stesso legno questa volta a penetrare nel ferro in una danza letale che lo portò a spaccarsi in due pezzi perfetti.
Matt ammutolì. Questa volta lo strumento aveva lavorato bene e il risultato fu un atto nobile, un gesto ben eseguito, di classe.
Il padre ripose l’accetta e sorrise al figlio.
— Due colpi a volte sono meglio di uno. Non bisogna avere fretta — fu la sentenza.
Il figlio annuì ammirato.
A questo punto l’uomo ritornò al bancone e si riaccese una sigaretta, come se nulla fosse successo. In realtà per Matt era successo di tutto, ma proprio di tutto tutto.

11.

— Beh? Ora stai muto? — riprese di colpo il padre.
— No — ribatté titubante Matt.
Il ragazzo accarezzò uno dei due pezzi spaccati. Era così perfetto che cominciò a lisciarlo, quasi fosse un gatto.
Sorrise compiaciuto del lavoro del padre, anche se un’ombra di tristezza gli velò lo sguardo.
— Beh? No, cosa? — 
La voce del padre si insinuò tra le pieghe dei suoi pensieri.
— No, è che oggi, a metà partita di pallone, ho provato come… disgusto. Disgusto, sì! Come avessi mangiato una pesca andata male e improvvisamente: bleah, che schifo! Non so perché, cacchio. Solo questo… — 
Silenzio.
Il padre era fermo, nel tentativo di mettere a fuoco il figlio che sgusciava dalla sua vista.
Matt gli appariva sfuocato, annebbiato.
— E allora, di punto in bianco vieni a spaccar legna!? — 
— No! Cioè… sì, un po’ sì; ma non per sfogarmi pa’, o chissà per cosa! Figurati se non mi sfogo a tirar calci! È che lì, al campo, mi sembrava di stare a perdere tempo. Corri, corri e poi? — 
— E poi continui a correre diamine! Cosa ti ho insegnato? — 
La voce dell’uomo ora sopraffaceva quella del ragazzo.
— Appunto pa’! Io continuavo correre, ma… — 
Matt si stava facendo tutto rosso: sentiva di non aver mai discusso così a lungo con suo padre, o forse che era la prima volta che lo stava facendo, da uomo a uomo.
Il padre sentì quella voce nuova, quel tono che si protendeva verso orizzonti sconosciuti.
— Fammi capire Matt: tu correvi, ma tutto attorno a te pareva corricchiare? È così vero?
Matt lasciò cadere il pezzo di legno e con la testa fece segno di sì. Fu un gesto che dilaniò il padre.
– Eh no, porca miseria! Questo mio figlio non se lo merita!
Matt non capì cosa stesse dicendo quel uomo che, per qualche secondo, gli era sembrato estraneo.
Suo padre sparì dietro una porta. Lo sentì salire le scale che portavano in casa. Udì del trambusto, poi di nuovo rumore di passi affrettati.
Ricomparve in tenuta ginnica, cosa che lo fece sorridere.
– C’è poco da ridere figliolo! Preparati che è ora di dare il secondo colpo, e questa volta lo diamo insieme!
Il figlio non capì nulla. Ma una cosa gli esplose in cuore: aveva una voglia matta di conquistare il mondo di corsa, a calci, a pallonate, a colpi d’accetta, spaccando legna: in qualsiasi modo. E non era il solo a volerlo.
La porta del magazzino si spalancò impetuosa e i due uscirono a perdifiato e l’accetta, a modo suo, stava sorridendo.

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