1.
Il mare correva allegro verso la spiaggia che, amorevolmente, lo allontanava, spingendolo avanti e indietro.
L’aria osservava questo vai e vieni desideroso dell’acqua, sbuffando colori sugli ombrelloni aperti.
Il tempo e lo spazio, immobili, si riflettevano nell’azzurro di quel pomeriggio bollente, quasi che non volessero spostare nulla del quadro dipinto dall’estate.
Dante, un professore di latino in vacanza, era un attore non protagonista dentro questo spettacolo, sdraiato su un asciugamano giallo e azzurro.
Teneva gli occhi chiusi e la bocca serrata, con la gola strozzata dalla sete, ma incapace di allungare una mano per prendere la bottiglia d’acqua, divenuta ormai brodo all’interno della sua sacca.
Per ripararsi dalla violenza del sole, Dante teneva la testa infilata sotto una tendina azzurra comprata all’ultimo momento in un minimarket di gadget marittimi: la temperatura dentro questo igloo di pura plastica era tropicale.
2.
Dante era single, con il vizio di innamorarsi follemente ogni cinque minuti di ogni donna che lo attraeva.
In questi cinque interminabili momenti, Dante era fermamente sincero nel suo sentimento e per questo, come si può ben intuire, la sua vita amorosa risultava alquanto tormentata.
3.
E così accade anche quel giorno.
Una ragazza bellissima stava sul bagnasciuga a lavarsi le mani e i piedi dalla sabbia. Dante perse completamente la testa: da quel momento non riuscì più a staccare gli occhi da lei.
Ogni suo gesto era per Dante angelico, unico, irripetibile, quasi che una divinità fosse discesa sulla terra per lui, solo per lui.
— Sei la mia Beatrice, per Dio. Quanto sei bella e pura!
Lei si accorse del suo sguardo e, come ogni donna, godeva dell’essere scrutata da due occhi prostrati. Dante la studiava ininterrottamente e, per la sua disperazione, si accorse che era attorniata da un nugolo di galletti palestrati e tatuati che, a turno, facevano a gara per attirare il suo bel visino.
Dante, evidentemente, non poteva competere con nessuno di loro, a meno che fosse sorta una disputa su Cicerone o Giulio Cesare.
Il professore era come imbambolato, e decise di alzarsi dal suo rifugio per cercare aria.
L’unica cosa che trovò però, fu un giramento di testa che attribuì alla bellezza della ragazza, ma che in realtà era dovuto alla tempesta di raggi UVA sulla sua nuca.
Si infilò, con stile, un paio di occhiali da sole e si avviò verso il gruppo di ragazzi in cerca di chissà cosa. È noto che, a volte, negli uomini l’amore renda totalmente idioti e incoscienti. Sicuramente la ragazza era il suo obiettivo: detto questo, ogni strategia sull’approccio era determinata dalla fantasia e dal caso.
E anche questa volta il buon Dio si divertì un po’ con Dante. Non per cattiveria certo: anche il buon Dio ha diritto a qualche sano momento di svago.
Infatti, dopo qualche passo, Dante venne colpito violentemente alla testa da un oggetto non ben identificato, che lo fece barcollare prima, e schiantare poi sul lato sinistro.
— Che diavolo… ma porca la miseria!, gridò Dante che, appena sentì un rivolo di sangue scendergli sulla guancia, si catapultò a quattro zampe verso il mare.
— Ma dico io… come è possibile che tutto vada sempre storto!, biascicò tra sé Dante, che si sentiva come una tartaruga in mezzo a un centinaio di agili pinguini.
Quando uscì dall’acqua, un brivido gli pizzicava la schiena: sentiva la pelle inebriarsi per il fresco di un’improvvisa lieve brezza e per i rivoli di mare che zigzagavano sul corpo.
La ragazza adocchiata in precedenza, aveva visto tutta la scena e ridacchiava viperosa con alcuni maschi, certamente immeritevoli della sua presenza.
Ripreso possesso della maggior parte dei sensi, Dante inquadrò il suo asciugamano e la sua tendina azzurra, e li vide invasi da una ragazzina che, con rapidità adolescenziale, ravanava tra le sue cose.
— Ehi ehi! Cosa stai facendo ragazzina! Lascia stare le mie cianfrusaglie!, urlò Dante, uscendo brancolando dall’acqua, con la vista offuscata dalle gocce salate che gli ardevano negli occhi.
Come una foca spiaggiata, avanzava trascinandosi il mare dietro di sé, che lo frenava, tenendolo incollato alle onde.
Raggiunta la sua stuoia inchiodò lo sguardo sulla ragazzina, che gesticolava vorticosamente scusandosi.
— Mi scusi signore, mi scusi… cercavo il frisbee che l’ha colpita; mi perdoni è stato un errore… Un lancio fatto male, non è stato volontario, mi creda!
Dante ebbe un flash dell’accadut: si ricordò del colpo preso in testa e della sua zappettata isterica verso il mare. Sorrise, e con la testa fece segno di aver capito.
— No no scusa me, non ti preoccupare: fa pure. Anzi, guarda! Il frisbee è finito dentro la sacca.
La ragazzina si impossessò del suo oggetto, e lo fece girare tra le sue mani come un pallone da basket.
— Grazie mille signore. Se le va, può unirsi a giocare con noi? Ci manca proprio un giocatore.
Dante si fermò a riflettere: ripensò ai suoi quarant’anni, ai suoi ottanta chili, alla sua pancetta prominente, alla sua stempiatura incipiente, alla sua muscolatura flaccida e fuori forma da troppo tempo: ma quando vide la ragazza stupenda, la Beatrice della spiaggia, avvicinarsi al gruppo dei giocatori, non ebbe più nessun dubbio.
— Ok piccola, ma non garantisco nulla!, e insieme si avviarono verso un improvvisato campo da gioco.
La sabbia calda gli avvolgeva i piedi, facendolo dondolare mentre camminava. Dante cercava di darsi un tono da sportivo, ma sembrava più una di quelle vecchie glorie, tra il patetico e il ricordo di un passato glorioso che riecheggiava lontano, che tra l’altro lui non aveva mai vissuto.
Dante si aggregò alla squadra in cui giocava la ragazzina che lo aveva invitato: si chiamava Alice e aveva la tipica faccia di quelle che prenderesti a sberle e allo stesso tempo vorresti confidarle che, arrivare a quarant’anni ed essere ridotti ad innamorarsi di una a caso, è veramente disperante.
Nell’altro schieramento si trovava la sua divinità, che, nel frattempo, aveva scoperto chiamarsi Amanda.
— Nomen omen, pensò tra sé e sé Dante, sei fatta per essere amata: puella Amanda est! Amanda deve essere amata! Cavoli non ho mai amato così tanto una perifrastica passiva!
Dante, infatti, da superbo professore di latino, a certe cose era sensibile, anche se oramai stava perdendo ogni speranza di far amare a qualcuno questa lingua morta.
Ben presto, tuttavia, l’uomo dovette limitare la sua sfera sentimentale, per spostare l’attenzione sul gioco in cui era stato catapultato.
Il gioco era semplice: sette contro sette e due mete a fondo campo. Per far punto, era necessario prendere al volo il frisbee nella zona della meta.
Per il resto le regole si improvvisavano giocando: in parole povere, valeva tutto pur di prendere il frisbee.
— Ehi, occhio alle schienate, altrimenti alla terza non ti rialzi più. Tra l’altro scusa, come ti chiami?
Questa era la voce di Alice che, a quanto aveva capito, era il leader della squadra nonostante i suoi quindici o sedici anni.
— Ok baby! Io sono Dante, come il poeta!
Alice, sveglia e pungente come una medusa, gli rivoltò contro la battuta, decisamente fuori luogo.
— Beh, sommo poeta, ora lascia stare le terzine e pensa solo a quel maledetto frisbee, perché se perdiamo te la canto io una bella cantica!
Detto questo la partita iniziò.
In un istante una tempesta di sabbia si abbatté su Dante che, travolto in un vortice di polvere, si trovò, in una successione assolutamente casuale, a correre, a cadere e a essere sommerso da corpi umani.
Non credeva fosse possibile che piedi, mani, polpacci, toraci, ascelle potessero, contemporaneamente, ricoprire il suo volto, puro e delicato, come può essere quello di un laureato in lettere antiche.
Si rialzò confuso, totalmente ricoperto di sudore altrui; la sabbia era penetrata in ogni anfratto del suo corpo, rendendolo simile ad una mummia vivente.
A stento respirava aria e vedeva, a tratti, attorno a sé gente ridere a crepapelle.
Anche Amanda rideva, con classe però. Alice lo guardò serio.
— Ehi poeta, siamo alla prima schienata: ti consiglio di farlo volare quel frisbee, invece di tenertelo tra le mani!
Dante non si era neanche accorto di avere addosso quell’oggetto diabolico.
Si mosse a fatica, scrollandosi di dosso metà del deserto del Sahara che si trovava appiccicato alla pelle. E il gioco infernale ricominciò.
Questa volta Dante si tenne lontano dalla mischia e con un giro tortuoso sì liberò da ogni marcatura, fino ad arrivare vicino alla meta. Amanda corricchiava a destra e a manca, evitando accuratamente ogni contatto.
— Carpe diem, sussurrò Dante e con un’agilità felina si lanciò per scontrarsi con la sua dea.
La sua idea, molto primitiva, era quella di simulare un placcaggio contro Amanda nel tentativo di farsi notare da lei, questa volta in modo virile.
Non aveva però fatto i conti con un autotreno umano che, con i suoi novanta chili, si schiantò contro di lui e lo sommerse per la seconda volta nella sabbia.
Ci volle più di qualche secondo perché il fragile docente riprendesse conoscenza.
— Che diavolo cercavi di fare, mezza cartuccia di uomo. Speravi forse di approfittare della mia, e sottolineo mia, Amanda?, sentenziò una voce maschile. Dante a quel punto capì di aver fatto, per così dire, amicizia con il fidanzato della sua nuova fiamma.
E il contatto era stato tutt’altro che diplomatico.
Il latinista, arenato, toccato nell’orgoglio, tirò fuori tutto il suo genio, e con una voce soffocata, si preparò a rispondere al bulletto palestrato. Tre anni di studi sulla strategia militare romana dovevano pur servire a qualcosa, e proprio in quel momento sorse in lui lo spirito di Giulio Cesare.
— Cretino di un galata morente, non ti sei reso conto che la mia è stata un’azione diversiva?
Alle loro spalle, infatti, si era sviluppata una maestosa azione d’attacco, che aveva portato Alice ad una strepitosa meta: il tutto grazie al sacrificio eroico di Dante, o almeno così si ripeteva nella testa.
Dante, per la seconda volta, si alzò accartocciato, inspirando polvere e gloria e sentendosi come Leonida dopo aver respinto il primo attacco degli Invincibili persiani.
Vide con orgoglio Alice, mentre correva urlante ed esaltata per il punto segnato. Anche la sua schiena, il suo stomaco, le sue braccia e le sue gambe urlavano, ma per ben altri motivi.
Alice, piegata sulle ginocchia e con il fiatone, lo indicò con l’indice e lui rispose con il pollice alzato: era nata una coppia d’attacco micidiale. Anche Amanda ora lo squadrava, con uno sguardo questa volta intriso di invidia: ma a Dante, ora, cominciava a non fregargliene più nulla. Di Amanda, è chiaro.
Il gioco riprese per la terza volta.
Dante aveva negli occhi solo una cosa: la meta che si trovava oltre Amanda!
Alice, dopo alcuni passaggi di routine, si era impossessata del frisbee; con la coda degli occhi seguiva Dante che, a sua volta, sentiva come un rabdomante le falcate leggere della nuova giovane pupilla; lei, con le sue gambette da piccola gazzella, evitò due placcaggi e improvvisamente urlò il nome di Dante.
Mai nome risuonò con tanto clamore su quella piccola spiaggia desolata!
L’uomo stava macinando sabbia, galoppando come un puledro bianco d’Arabia, sferrando pugni e gomitate a chiunque gli si parasse davanti, finché si ritrovò oltre la linea della meta: a questo punto annusò l’aria e sentì il frisbee volare, come un satellite attorno alla terra. Amanda, spaventata dalla sua foga, si era rapidamente allontanata dalla zona.
Invano braccia, mani, dita, teste cercavano di intercettare quell’ufo fosforescente.
Sembrava che quel volo traballante avesse solo un obiettivo: Dante.
Tutto il suo corpo vibrava, come forse mai aveva vibrato. Per la testa gli passò un lampo dell’infanzia, quando da buona ala sinistra, una volta si era involato in un contropiede funambolico, concluso con un cross perfetto per il suo amico Toni, centravanti di peso, che di testa aveva inzuccato il pallone nel sette.
Quel brivido lo risentì potente, e ora era lì, in un’attesa infinita.
Il frisbee stava concludendo la sua parabola perfetta: tra lui e Dante oramai rimaneva il tir muscoloso di prima, ma ora Dante era pronto a vendere cara la pelle.
Piantò i piedi nella sabbia e si caricò a molla per un salto mortale. Le sue gambe tremarono sotto l’urto violento del bellimbusto, ma non cedettero, e quando spiccò il volo per raggiungere il frisbee la sua mano, come una tenaglia, afferrò l’oggetto che parve farsi accogliere da quell’abbraccio.
La successiva caduta fu il più glorioso tonfo della storia: mezzo sotterrato nella rena, erse il suo braccio verso il cielo, tenendo stretto il frisbee.
Il boato della folla gli fece intendere che la Storia ora era tutta dalla sua parte.
Alice sgambettava indiavolata verso di lui e tutti suoi compagni lo aiutarono a tirarsi su, per la terza volta.
La sua schiena era letteralmente frantumata e si ricordò la frase divinatoria di Alice: alla terza schienata non ti rialzi più. Invece, contraddicendo ogni profezia, ogni legge della fisica, ogni referto medico, era in piedi, con l’asse dell’equilibrio spostato un po’ troppo a destra, ma pur sempre in piedi.
Alice gli saltava intorno come fosse diventato un totem indiano, gridando Vittoria! Vittoria!.
Amanda nel frattempo stava lasciando il campo da gioco, solitaria, avvicinandosi al mare. Anche Dante era della stessa idea e, prendendo Alice per i piedi, cominciò, ridendo a crepapelle, a trascinarla verso l’acqua.
Giunti in riva al mare, Dante era spossato simile un palloncino sgonfio, ma non era mai stato così contento in tutta la sua vita.
— Che bella è la vita! Che figata! Maledetta Amanda che…, anzi benedetta Amanda! Che cosa mi hai fatto vivere?! I più bei dieci minuti d’amore!
A quel punto si accorse di trovarsi tra Amanda e Alice ed entrambe lo guardavano con uno sguardo minaccioso.
Amanda distolse rapidamente gli occhi da Dante e cominciò a sciacquarsi i piedi e le mani, togliendosi quel poco di sabbia che le si era attaccata al suo corpo perfetto.
Alice invece continuò a guardarlo offesa, sentendosi privata del merito della gloria a cui aveva innalzato l’uomo.
Dante si guardò: era sporco da capo a piedi, con qualche ferita qua e là ancora sanguinolenta e dolori sparsi che, ben presto, si sarebbero trasformati in lividi.
La ragazzina era nel suo stesso stato e tutto ciò lo riempì di fierezza, per lei e per sé. Entrambi si girarono ancora una volta verso Amanda che si trovò a disagio nella sua perfezione: adesso, per qualche strana alchimia, a Dante, quella ragazza tanto idolatrata non diceva più nulla, anzi sentiva un pizzico di fastidio nel guardarla.
— Mi dispiace Amanda, ma non ti amo più, gli uscì dal fondo del suo cuore.
— Ma va al diavolo, cretino, fu la risposta stizzita di lei.
— No, scusa, era solo per dirtelo e perché non ti facessi illusioni, continuò Dante. Ma Amanda oramai era persa nel recinto dei galletti impettiti.
Alice rumoreggiava alle sue spalle, schizzandogli acqua sulle gambe.
Dante si girò verso di lei.
— Ma ti sei visto in che stato sei!?, lo attaccò smorfiosa la sua giovane amica.
— Sì, ed è fantastico! E tu sei stata fantastica!
Alice scoppiò a ridere e, contemporaneamente, si lanciarono in una spericolata corsa verso il mare.