NON STATE MICA LITIGANDO?

— Sei proprio un cretino! Un cretino di quelli senza cervello! Che cosa ho visto il giorno che mi sono innamorata di te? Che cretina pure io! Ma come fai, come fai?! Dove lo lasci a volte il buon senso?
— Ma non esagerare, Gesù mio, dai! Mi sembri un’isterica! Stai calma! —
— Ma sì, dai, andiamo avanti così! Magari al prossimo giro regalagli un carro armato o un sottomarino nucleare da tenere attraccato al Po, tanto, con tutte le scorie che ci sono dentro, bomba più bomba meno, cosa vuoi che sia? —
— Mati, cosa diavolo…, — ma l’uomo venne subito interrotto.
— E non mi chiamare Mati con quell’aria da Grande puffo. Non mi compri con queste sdolcinate da Elisa di Rivombrosa. Porco! —
— Tu dai di matto, sono senza parole. —
Nel frattempo un bambino, urlante come un babbuino impazzito, attraversò la stanza fermandosi davanti alla donna, che era sua madre, puntandogli addosso una pistola giocattolo.
— Arrenditi! Sei mio ostaggio! Questa è una rapina! —
La madre, Matilde, lo guardò come si guardano i piranha all’acquario di Genova, con un misto di terrore e audacia.
— Sparisci tu! Sono tua madre e col cavolo che mi prendi in ostaggio! —
Il bambino, dopo un attimo di esitazione, lasciò partire un colpo e un pallino giallo fosforescente rimbalzò contro il seno della donna.
Per tutta risposta Matilde prese un posacenere che scagliò, incredibilmente violenta, contro il marito, nella zona basso ventre.
Fu un miracolo, per Fausto, che il colpo di sua moglie non fosse andato a segno. Ma ciò non risparmiò una piastrella della sala che, da quel giorno, portò il segno di una ferita inestinguibile.
— Cacchio Matilde ma tu sei da curare! Ti vuoi dare una calmata! —
— Come!? Di fronte a questo omicidio compiuto da quel demonio di tuo figlio, la tua preoccupazione è preservare la tua virilità, se ancora ne hai una, a dirla tutta. Hai visto cosa è successo! Hai visto! Il nostro Filippo non ha avuto nessun ritegno a sparare al seno che lo ha allattato! E sono sua madre! —
Nel frattempo il piccolo Filippo si diede ad una fuga precipitosa, saltando prima dietro al divano e, successivamente, sgattaiolando quatto quatto verso la sua stanza.
— Non mi prenderete mai, sbirri maledetti! —
Matilde sprofondò in uno sguardo assassino verso il marito: gli occhi divennero una fessura che squartò l’aria circostante e la bocca si serrò a formare un grugno marmoreo.
Dalla cucina intanto arrivò una voce, quella della madre di Fausto, Maria, che stava preparando dei fantastici agnolotti al sugo d’arrosto.
— Amori…? Non state mica litigando? —
— Certo che sì! — digrignò Matilde.
— No mamma — ribatté contemporaneamente Fausto, con quella dolce rabbia che solo gli uomini sanno far risuonare durante una guerra famigliare.
Di sottofondo ora c’era solo il fischiettare imbarazzato di Felix, il padre di Fausto, che, in queste occasioni, riusciva sempre a fare ciò che non bisognava fare per allentare la tensione.
Matilde si tappò le orecchie ripetendo autisticamente la stessa frase per qualche interminabile secondo.
— O smette di fischiare o lo rispedisco a casa a calci. O smette di fischiare, o lo rispedisco a casa a calci. O smette di fischiare o lo rispedisco a casa a calci… —
Fausto si schiantò sul divano e cominciò a frizionarsi gli occhi compulsivamente.
— Perché, perché devi fare così? È solo un giocattolo, la miseria, è solo un giocattolo, è solo un giocattolo, è solo un giocattolo. —
La scena sembrava tratta da un manicomio per mariti e mogli: entrambi ripetevano macchinalmente la stessa frase e nessuno dei due ascoltava l’altro.
— Ehi? Tutto ok di là? —
La voce di Assunta fece di nuovo capolino nella sala.
— No! — rispose Matilde quasi volesse frantumare un’altra piastrella del pavimento.
— Sì! — ansimò allo stremo delle forze Fausto, che, nel frattempo, si era lasciato cadere sul pavimento come un bambino capriccioso.
— Bravo! Menti pure a tua madre ora. —
Come un puledro imbizzarrito, si voltò verso la cucina.
— No cara Assuntina, non va per niente bene: lo sapevi che tuo figlio è un vero irresponsabile: pensa che vuole che il piccolo Fil diventi un killer, rapinatore, assassino e un fuorilegge. In più ti sta mentendo da tre minuti: fai tu! —
— Bah, tutte cose che ho sempre pensato di mio figlio — intervenne Felix.
— Buon sangue non mente! — sibilò Matilde, volgendosi di scatto verso suo marito.
Fausto sentì il veleno della moglie entrargli da tutti i buchi.
Si alzò, chiuse la porta della sala a chiave, tolse la chiave, la buttò sul mobile e si girò verso la moglie.
Ora era decisamente al di sopra delle righe, ma violentemente cercò di rallentare il battito cardiaco, le pulsazioni alle tempie, e allontanò da sé ogni immagine omicida.
Non fu facile, ma ci riuscì, almeno per qualche istante.
— Allora, diamoci tutti una grande calmata. Ora spiegami cosa c’è di così catastrofico nel regalare una pistola giocattolo a nostro figlio! È un maschio, cavolo: e come ogni maschio, dopo un pallone, ha il sacrosanto diritto ad avere una pistola giocattolo, come tutti i maschi sulla faccia della terra! Dagli la possibilità di poter sparare quei dannatissimi proiettili di plastica contro cani, gatti, piccioni, lattine, pupazzetti, nonne che rompono, mamme che strillano, papà nevrotici. Tutto questo non farà di lui un serial killer o un omicida! Tutti noi maschi siamo nati con la fase sparaeammazzaperfinta! Voi avrete avuto quella del mettilescarpedellamammaetruccatidinascosto, o no!? Bene: noi abbiamo quella del maschio Alpha salvalavitadeglinnocenti e scappadallosbirrodopounafintarapina! Lo vuoi capire sì o no!? Tutti noi abbiamo giocato, e sottolineo giocato, alla guerra, al tendere agguati, al rimanere feriti sopravvivendo grazie ad una rocambolesca fuga sotto il lettone dei genitori o saltando mirabilmente sul sofà! Ora dimmi dove sta il problema? —
Fausto aveva grandinato parole senza pensare, ma con negli occhi anni di infanzia che avevano sperimentato ogni respiro di quella difesa a spada tratta del suo eroico regalo, per i sette anni di suo figlio.
Quando smise di parlare, sentiva ancora il morso di quel cane infame che, quando aveva dieci anni, lo aveva rincorso per le viuzze del centro, dopo che lo aveva centrato con una ventina di pallinate del suo fucile a pallettoni, in una torrida estate di anni e anni fa.
Il suo respiro era affannato, gli occhi gli bruciavano, tanto aveva spremuto le meningi in quell’arringa da salotto.
Matilde, in quel momento, si era sistemata vicino alla finestra, in controluce, come dice la miglior regola in un duello tra pistoleri. La luce sempre alle spalle: acceca l’avversario.
Tra le mani, ora, aveva cominciato a far girare un fermacarte a forma di mappamondo.
— Non mi fai paura con quel mappamondo in mano — concluse Fausto.
— Invece dovresti avercene — cominciò la moglie che prese una rincorsa, dandosi un piccolo slancio dal davanzale a cui era appoggiata.
— Guarda Fausto, la faccio breve. Vedi, in poco tempo, di disarmare tuo figlio. Della tua infanzia mascolina non me ne frega proprio niente. La sai come la penso sulla violenza e sull’uso delle armi, anche solo giocattolo. Fine del discorso. Punto! —
Detto questo posò il fermacarte sul tavolino delle foto.
Fausto ricominciò ad avere un serio prurito alle mani.
— Eh no cara, non la risolvi così, da maestrina! Vuoi dirmi che non hai mai giocato con le pistole ad acqua, a lanciare i gavettoni, alle battaglie di bombe – oh mio Dio, la parola bombe! – d’acqua; vuoi farmi credere che non hai mai fatto a cuscinate: la battaglia dei cuscini, per Dio! Ma di cosa stiamo parlando! Ti dai una svegliata, signora Matilde! —
In quel momento un picchiettio di pallini fosforescenti colpì la porta della sala, accompagnato da un impercettibile ghigno.
Matilde rispose con un’alzata di spalle riprendendo in mano il mappamondo.
Fausto batté una manata sulla porta, accompagnata da un grugnito animalesco, che ricevette, come risposta, una pernacchia insipida, attraverso la toppa della porta.
— Ecco i dialoghi dei maschi Alpha! —
Le labbra dei due contendenti erano agli angoli di un ring, accecate dalla voglia di scontrarsi in una lotta all’ultimo morso.
Un tremolio frenetico dominava le palpebre di Fausto; un morso serrato schiacciava il labbro inferiore di Matilde, che vedeva sullo sfondo la vittoria ad un passo.
Poi all’improvviso, qualcuno bussò alla porta della sala: due colpi pacati, come sicuri che la porta si sarebbe aperta di lì a poco.
Fausto si girò e vide, attraverso il vetro smerigliato, la sagoma di Felix con in braccio il piccolo Filippo. Il bambino, anche se aveva sette anni, era piccolo di statura, ma di spirito era una furia.
Matilde, presa una sedia, si inerpicò sull’armadio e, allungando il braccio, a tastoni, trovò la chiave, che passò a suo marito.
Fausto barcollante, aprì la porta e fece entrare il nonno con il nipote.
— Ciao! — disse Filippo con l’innocenza della pioggia primaverile.
— Allora — intervenne nonno Felix — di’ un po’ cosa pensi del tuo nuovo regalo ai tuoi genitori!
Fausto e Matilde rilasciarono per un attimo i muscoli, che rifiatarono espirando adrenalina.
— Grazie papà e mamma per la pistola! So tutto su come caricarla veloce, puntare con precisione e ricaricarla subito, come nei film! — Filippo si grattò l’orecchio e poi giocò per qualche secondo con il lobo del nonno.
Matilde sfiatò come una pentola a pressione.
Felix percepì la vibrazione nervosa della donna e sorrise, con la barba tagliata un po’ male e tinta di un bianco perla; poi strappò il silenzio.
— Fil, come la mettiamo con papà e mamma che litigano per questo regalo? —
Filippo aggrottò le ciglia e con una mano si strinse le labbra per trattenere chissà quale pensiero.
— Il regalo è bello: perché mà e papi gridano? — chiese Fil, facendo scivolare nervoso lo sguardo nelle pupille del nonno.
— A me piace la pistola: a mamma perché non piace? Prima non volevo colpirla. Mi sono solo spaventato, quando ha gridato, e il dito ha tremato e il colpo è partito: ma non volevo. Non voglio finire in castigo. —
Detto questo abbassò lo sguardo a cercare qualche consolazione tra gli angoli delle piastrelle del pavimento.
Il nonno riprese le fila del discorso.
— Vedi Fil, lo sai che io ho sparato con una pistola vera! Anzi con un fucile americano: era un Winchester M1! —
Filippo si riaccese scoppiettando.
— Sì! E hai vinto anche la guerra! —
— Beh, non è che l’ho vinta io. Comunque ho sparato veramente: era un vero e proprio cannone, nelle mie mani: e dovevi sentire la botta che mi dava sulla spalla e il suono secco dell’esplosione: pum! —
Matilde crollò sulla poltrona. Questa storia l’aveva già sentita cento volte e ora, più che mai, le sembrava terrificante.
— Basta, basta… — ripeteva esausta.
Il nonno si fece serio e continuò.
— Ok, basta. Però una cosa la vorrei ancora dire: Fil, vedi che alla mamma non piace che parliamo di questo? E un poco ha ragione, perché sono storie tristi, di morti, di sofferenze, che forse anche io ho causato. —
Il nonno ora era molto serio e un velo di tristezza copriva il suo sguardo.
Poi riprese.
— Fil lo sai che il nonno zoppica? —
— Sì nonno, so anche perché: ti hanno colpito in una sparatoria con i cattivi e tu sei rimasto ferito e ti sei trascinato fino ad un nascondiglio e da lì hai continuato a sparare e hai vinto la guerra! —
— No Fil, non ho vinto la guerra, ho salvato solo la mia vita, e certamente questo non è poco. —
Filippo ammutolì di fronte a quell’uomo, così uomo e non superuomo.
— Però hai ragione, ho venduto cara la pelle quel giorno! — e i due scoppiarono a ridere, mentre il nonno cominciò a sbatacchiare in alto il suo piccolo nipote.
Fausto sorrideva e stava sulla porta della sala, con le mani aggrappate agli stipiti, come Sansone tra le colonne. Ma evitò di buttare giù la casa.
Poi, di colpo, il nonno riprese il pallino della scena.
— Fil, l’uomo che mi ha sparato alla gamba, lo sai che poteva uccidermi? Ero lì, a terra, e per lui sarebbe stato un gioco da ragazzi impallinarmi. È stato un attimo lunghissimo: uccidermi o lasciarmi vivo? Poteva uccidermi, ma non lo ha fatto. —
— Meno male nonno. Ma perché ha fatto così? Lui era cattivo! Perché? Perché? —  Filippo aveva le lacrime agli occhi, come anche Fausto.
Quella domanda ripetuta risuonò nella sala, come i colpi di un Winchester, in un silenzio ripido.
— Sì! Ho capito, nonnino: non ti ha sparato perché ha pensato a me! Ha pensato a me, e a quanto bene ti voglio! —
Tutti gli adulti della stanza alzarono la testa ad ascoltare questa risposta, assolutamente irrazionale.
— Di questo sono sicuro… — sussurrò il nonno.
Infine chiuse gli occhi e appoggiò con delicatezza il nipotino sul pavimento, che subito corse dalla mamma a braccia aperte.
La pistola, intanto, era muta a terra.

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