Tommaso cominciò a correre veloce giù per le scale, come una furia.
Fanny il suo cane lo seguì allegro, sorpassandolo a destra e intralciandogli la strada così da farlo inciampare comicamente. Tommaso scivolò sul gradino e piantò un volo in planata sulla scalinata, raggiungendo il pianerottolo con la faccia spiaccicata sulle mattonelle fredde.
Sentì un rivolo di sangue scendergli sulla fronte, caldo e carico di rabbia.
— Ma porca miseria Fanny! Almeno te, cane bastardo!
Il che non era un insulto, ma la pura verità: Fanny era arrivata in casa sua così, da un giorno all’altro, tutta sola e abbandonata, figlia di chi, non si sapeva.
Ora anche Tommaso si sentiva solo e abbandonato. Cosa che tra l’altro non era vera, ma ora si sentiva così.
— Oggi non ne entra una in buca. Cacchio! Ora tutti mi faranno domande su questo taglio: Ti sei menato? Hai fatto qualche cavolata come al solito? Sei caduto dalla Vespa? Hai fatto un incidente? Ti sei tagliato da solo? Sei depresso? EHHHHHHH! DATEVI TUTTI UNA CALMATA, SONO ANCORA VIVO! Porca miseria Fanny, io ti porto a correre e a divertirti e tu mi sei riconoscente così: guarda in quanti casini mi metti?
Fanny lo guardava con due occhioni neri petrolio, mentre dal naso sbuffava aria calda; la coda scodinzolava isterica, attendendo chissà che cosa, da quel momento di divertimento totale, per lei.
— Eh sì, io cado e tu ti diverti, piccola peste che non sei altra, borbottò il ragazzo al cane che aveva cominciato a saltellargli attorno, entusiasta di tutto quel trambusto.
Nel frattempo Nello, il custode della casa, sentito il rumore del capitombolo, stava scendendo affannato, con tutti i suoi settant’anni sulle ginocchia.
— Oh Tommy, tutto bene?
— No per niente, rispose veloce il giovane.
— Ah, e posso andare? Posso stare tranquillo?
— Vai vai, caro Nello. Ma per niente tranquillo!
Alfredo se ne andò ciondolando.
— Ecco vedi Fanny, ora ti spiego una cosa degli uomini: a dire le cose vere, a volte, non cambia niente. Se avessi risposto a Nello: No no, tutto ok, la sua reazione sarebbe stata la stessa. E allora a che vale essere sinceri. Troppa gente ti fa domande a caso, senza che gliene freghi qualcosa della risposta. Le serve solo a riempire i vuoti, i silenzi, i buchi della vita, le voragini dell’esistenza. Urca: ma che sto a parlare con i cani adesso?
Rapido, impugnò il guinzaglio e uscì in strada. Il freddo invernale gli graffiò le guance, che coprì con il bavero della giacca.
La passeggiata per far fare la pipì a Fanny era sempre la stessa. Oramai avevano il pilota automatico, sia lui che il cane.
— Dai Fanny, fai una cosa veloce che devo finire di studiare storia: che palle!
Fanny saltellò e fece i suoi bisogni sulla ruota di una Cinquecento azzurra.
— No, piccola! Questa è la macchina di mamma! Dio mio, tra tutte le macchine proprio la sua, zio fanale!
E diede uno strattone al cane che zampettò su tre gambe, per finire la sua annacquata sulle scarpe di Tommaso.
— OH! Ma brutta cagna bastarda, le mie scarpe no!
Tommaso si sedette su una panchina tra il depresso e l’impestato.
Lasciò cadere la testa indietro e tirò giù tutti i santi in ordine sparso. Poi tacque in catalessi.
— Zero. Oggi tutto è uno zero. Zero all’infinito.
Il cellulare suonò. Era una delle decine dei gruppi a cui era iscritto.
Foto.
Foto.
Foto.
Selfie.
Selfie.
Video.
Story.
Foto.
Tommaso scorreva rapido sul cellulare con il pollice della mano destra.
— Ecco il momento condivisione di qualsiasi cosa ti venga in mente. Che palle. Sono tutte foto di amici, Fanny. Tranquilla. Niente di impegnativo. Ma che palle: cosa me ne frega.
Tommaso vedeva volti con filtri assurdi, con frasi di Vasco, di Coelho, di Buddha; insulti a compagni idioti, cuoricini a pioggia, bacini a catinelle.
Tutti in posa, occhioni ammiccanti, linguacce alla Rolling Stones, dita medie verso libri scolastici.
— Dei geni, Fanny. Ho dei compagni che sono dei geni!
Il dito continuava a scorrere: aveva visualizzato qualcosa come trenta foto e altrettante perle di saggezza.
Alzò lo sguardo e vide nel buio della sera un gabbiotto illuminato, che attirò la sua attenzione. L’aveva sempre visto, perché era sotto casa sua, ma non l’aveva mai notato.
Si destò dalla panchina con uno strattone e tirò Fanny verso la direzione di quello scatolone rosso che rischiarava il marciapiede.
— Ehehehe Fanny! È una macchina per le foto tessere! Dai cucciola, divertiamoci un poco.
Tommaso spostò la tenda rossa e spinse il cane riluttante dentro.
— Fantastico! Il seggiolino regolabile per l’altezza! Dai Fanny, vieni in braccio. Dio santo quanto pesi: aspetta devo mettere i soldi. Cavoli cinque euro per cinque foto! E non so neanche se verranno bene! Buona Fanny, stai calma e non leccare l’obiettivo! Porca miseria, viene una foto sbavata! Maialina che non sei altra! No! No! Fermati un attimo. Ahi! Le palle, piano con ‘ste zampe! Cacchio la macchinetta ha preso i soldi, li ha presi! Fanny ferma! No: la pipì qui no! Me la fai addosso! I jeans appena lavati, porco Giuda!
Flash!
— Ehi! Non siamo pronti, non siamo neanche in posa! Aspetta ordigno infernale!
Tommaso con forza bloccò le zampe del suo cane con una mano e con l’altra le schiacciò il suo muso sul suo viso e sprizzò un sorriso forzatissimo.
In un secondo però perse l’equilibro e si sbilanciò tutto a destra contro la parete del gabbiotto, mentre il sedile girevole lo fece voltare di 45 gradi: il cane guaì e scodinzolò così forte da aprire la tenda, lasciando che un fascio di luce di un lampione penetrasse nella loro intimità fotografica.
Flash!
— Fanny sei impossibile!, e il ragazzo colpì amorevolmente l’animale.
La cagna abbaiò, facendo rimbombare un tuono dentro il gabbiotto.
Tommaso scoppiò in una risata naturale: era piegato sopra il cane come in un incontro di lotta greco romana. Il cane aveva scambiato questo gesto come un incitamento a giocare.
Saltò, battendo una zuccata sulla camera, difesa da un vetro protettivo.
Flash!
— NO!
Tommaso si ricompose velocemente e fece una faccia seria, tra l’ammiccante e il “Ehi c’è l’hai con me?!”
Il cane spuntò tra le sue gambe.
Flash!
Un ronzio pose fine alla lotta tra il ragazzo e il cane.
Qualche istante di silenzio e da una fessura in fondo a destra del macchinario uscirono cinque foto formato tessera.
Una ventola soffiò per una ventina di interminabili secondi sul prodotto appena sfornato: il suono era simile a quando Tommaso soffiava sulla minestra bollente della madre.
Fanny provò a strappare con un morso la lingua di foto, ma Tommaso la anticipò fulmineo.
Il giovane scoppiò in una sonora risata: le immagini descrivevano quei minuti di lotta assolutamente esilaranti avvenuta in precedenza. Ma le istantanee erano di una naturalezza senza precedenti, che Tommaso non aveva mai visto in nessuna foto fatta col suo cellulare.
Nessun effetto filtrava i colori o le forme delle immagini, anche se i colori erano innaturali, visto il flash esplosivo che investiva i due personaggi.
Tommaso tirò fuori il cane da quell’abitacolo magico e si avviò verso casa.
Improvvisamente si ricordò della serie di selfie che gli era stato inviato sul gruppo della classe.
— Eh mo’ come faccio a condividerle con gli altri, pensò, mentre si rigirava tra le dita le sue opere artistiche.
— Niente: vorrà dire che le terrò per me e per Fanny queste foto e fece correre la mano lungo la schiena liscia della sua amata compagna di vita.
— Le terrò per me e te. Zero condivisione selvaggia!
Questa frase risuonò strana nell’anima di Tommaso.
Ci rifletté su un attimo, ma non per molto.
Fanny era già partita come un razzo a rincorrere un piccione e dietro di lei Tommaso, che stringeva tra le mani non tanto il guinzaglio del suo cane, quanto cinque foto. Cinque foto vere.
E a seguire, il buio illuminato della sera.
Una foto perfetta. Anche se mossa.