DIVORARE IL CIELO, P.GIORDANO

Divorare il cielo: quale slogan può interpretare meglio l’impeto adolescenziale, la forza generatrice e dirompente che dà vita ad un giovane, pronto a buttarsi nell’infinito cosmo esistenziale .

Ma a leggere l’ultima opera dell’ormai più che emergente scrittore Paolo Giordano, viene il dubbio atroce che questo divorare si riduca alla fine a un rabbioso mordere l’aria, ad un malinconico grido, grande sì come il cielo, ma solitario e. in fondo disperato, come solo certe notti d’estate senza stelle possono essere.

Gli adolescenti che nel libro crescono, sembrano adulti già vecchi, pieni di ferite tremende che non riescono a risanarsi se non con lacrime amare e crude.

La storia, sebbene costruita con maestria, è una storia che trasuda una rabbia stanca, un’inquietudine avvelenata dai troppi tradimenti e dalle troppe incomprensioni sgraziate, di una età non ancora matura per essere capace di riemarginare gli squarci dolorosi dell’amore e dei sentimenti più vivi.

Da qualsiasi punto di vista si prendano le vicende di questo nuovo tipo di romanzo di formazione, il filo sottile, ma volte tremendamente robusto e sferzante, della disperazione avvinghia i personaggi, senza dar loro tregua e senza dar loro una possibile via di uscita.

Divorare il cielo, dunque, risulta un libro crudemente fragile nella costruzione e nella descrizione dei suoi giovani uomini, destinati, nonostante i loro impeti vitali,a soccombere di fronte ad una realtà troppo incomprensibile e caotica, incapace di mostrarsi positiva o portatrice di una speranza accogliente.

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